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La ripresa economica dopo il coronavirus: analisi dei rischi e possibili strumenti per le aziende

  • Immagine del redattore: Avv. Gianluca Verdesca
    Avv. Gianluca Verdesca
  • 29 mar 2020
  • Tempo di lettura: 4 min

I) Premessa

Sono state apprestate, con il Decreto Cura Italia, alcune misure fiscali a sostegno dell’economia e delle famiglie e, in considerazione delle poche attività (c.d. essenziali) che continuano ad essere aperte successivamente alla nuova stretta del governo, resta da chiedersi se, dopo il fermo, le imprese, piccole o grandi che siano, riusciranno a reggere l’impatto di questa imprevista situazione di stallo.

L’argomento non ha avuto modo di essere particolarmente esplorato; ogni congettura, del resto, non può che rappresentare una mera previsione sulla base degli elementi (ad oggi) in nostro possesso.

Le misure previste dal predetto decreto, forniscono probabilmente una primissima assistenza per specifici settori e cercano di far fronte ad un problema del tutto serio, ovvero quello della grave e improvvisa crisi di liquidità delle aziende.

Quanto espresso, rende plausibile uno scenario di possibile insolvenza di massa (il quale peraltro è già in atto!) che deve essere adeguatamente e immediatamente contrastato.

Qualsiasi impresa, infatti, dal piccolo commerciante alla grande impresa di costruzioni o fabbrica automobilistica, dovrà fronteggiare le richieste di pagamento dei propri fornitori, ma nessuno sarà in grado di adempiere a tali obblighi, dal momento che gli ordinativi di materie prime e di prodotti formalizzati prima dello scoppio della pandemia, erano stati programmati sulla base di un ben differente scenario.

Se la domanda crolla, le imprese avranno serie difficoltà a reggere l’urto e a rimanere competitive sul mercato: l’impossibilità di fare fronte regolarmente alle obbligazioni assunte provocherà un effetto domino sui creditori delle stesse, i quali a loro volta si troveranno nell’impossibilità di onorare i propri debiti.

A tal riguardo, occorre tener presente che il tessuto imprenditoriale del Paese è costituito di connessioni che solo apparentemente appaiono remote, ma che sono forti e consolidate: ad esempio, la crisi di un’azienda che produce bottoni procura gravi danni tanto alla casa di moda cliente quanto a chi le ha fornito la materia prima per la produzione.

A ciò si aggiunga che il paese non aveva ancora assistito a una simile crisi da pandemia, che esula dalle classiche categorie di crisi industriale, finanziaria, etc., che appaiono definizioni inappropriate alla situazione attuale. La crisi da pandemia rappresenta un vero unicum, in quanto

colpisce in modo orizzontale e immediato il fattore produttivo più importante di tutti: il capitale umano. Le regole di distanziamento sociale sono incompatibili con la produzione e col consumo della maggior parte dei beni e di molti servizi. Una simile situazione, non si è prodotta neppure in stato di guerra, dove di volta in volta, sono stati magari colpiti determinati settori della produzione e/o fasce sociali, spesso in tempi diversi.

Una pandemia, invece, colpisce tutti e in modo trasversale e contestuale, in Italia e, come vediamo, per definizione, nel mondo.

II) Possibili strumenti per gestire la crisi dovuta alla pandemia

Lo stato di insolvenza è ancorato a situazioni obiettive (incapacità dell’impresa di far fronte alle proprie obbligazioni con mezzi ordinari di pagamento) e in linea generale prescinde dalle ragioni che lo abbiano cagionato. Ma nel nostro caso si aprirebbe un ulteriore problema: giacché la crisi è, come detto, sistemica, è presumibile che i Tribunali vengano letteralmente sommersi da azioni legali individuali, e da istanze di fallimento. A quel punto, giacché la competenza territoriale si radica sulla base della sede delle imprese si rischia di creare, almeno inizialmente, una grande difformità di orientamenti giurisprudenziali circa la rilevanza della pandemia sulla crisi/insolvenza dell’imprenditore.

Sarebbe dunque necessario rimanere nel solco delle ultime riforme, anticipando gli interventi il prima possibile, prima che la crisi diventi difficile da gestire.

Ad esempio, se alla ripresa l’imprenditore dovesse essere costretto a gestire e affrontare le richieste di pagamento e le relative azioni legali rimarrebbe sicuramente travolto da tali iniziative. In tale ottica, la legge fallimentare conosce già il concetto di c.d. automatic stay, cioè di blocco temporaneo di ogni azione esecutiva e giudiziaria individuale a tutela del patrimonio dell’imprenditore che voglia accedere a talune procedure di risanamento dell’impresa (si veda quanto proposto in tema di concordato preventivo, di accordi ex art. 182 bis. l.f., etc.). Tali “benefici”, tuttavia, allo stato sono appunto prodromici e funzionali a una procedura di natura più o meno concorsuale.

Una soluzione sarebbe, allora, quella di studiare un intervento normativo che preveda un meccanismo analogo di sospensione/blocco temporaneo delle azioni esecutive e legali, ma per tutte le imprese, tenuto conto della natura eccezionale e inedita della crisi da pandemia.

L’intervento normativo è inevitabile perché, allo stato, gli strumenti previsti dal nostro ordinamento sono inadeguati e non consentono di ottenere questo risultato. Si dovrebbe poi rivolgere particolare attenzione ad approntare soluzioni tecniche che non si prestino ad abusi o sperequazioni.

III) Rimedi già previsti dal Decreto Cura Italia

Il Decreto Cura Italia prevede l’istituzione di un fondo di garanzia per le imprese in difficoltà. Ma il regolamento di attuazione (lettera B.1, punto 4, lettera e) prevede che il beneficiario non debba, fra l’altro, essere assoggettato ad “accordi stragiudiziali o piani asseverati ai sensi dell’art. 67, comma 3, lettera d) della legge fallimentare […] o ad accordi di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 182 bisdella medesima legge”. Tale previsione non risulta condivisibile nella misura in cui i piani attestati e ancor più gli accordi ex art. 182 bis l.f. non sono procedure concorsuali, e non presuppongono uno stato di insolvenza. Si tratta, piuttosto, di fattispecie negoziali tra impresa in crisi e creditori, di natura certamente peculiare, che prevedono magari nuove scadenze tra i soggetti interessati e/o la ristrutturazione della debitoria sulla base pur sempre di un accordo, ancorché all’interno di peculiari procedimenti.

Sarebbe dunque auspicabile che, in sede di conversione del decreto, la legge di conversione preveda opportuni emendamenti per sopprimere tali limitazioni e ampliare così il novero dei soggetti ammessi al fondo di garanzia.



 
 
 

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